L’ecologia integrale è un invito perché nulla nella vita ci risulti estraneo, straniero, indifferente. Siamo dentro un Tutto, che siamo noi.
Cosa nutre la mia vita? Come alimento tutte le dimensioni della mia persona? A chi sono grata per chi sono ora? Sono in grado di nominare le mie fragilità? Faccio spazio all'altro/a nella mia vita? Faccio spazio a altre letture e esperienze nella mia vita?
Dal cambiamento spirituale interiore, verso stili di vita più sostenibili e socialmente impattanti, per giungere a azioni politiche di advocacy per cambiare le strutture incompatibili con la salute della casa comune (di cui gli esseri umani sono parte): questa la proposta del Movimento cattolico globale per il clima.
Io aggiungere un quarto anello a questi tre cerchi connessi e interagenti: una spiritualità cosmica che non è solo personale e individuale. Pertanto si parte dalla spiritualità per ritornarvi, come motore di vita e di cambiamento profondo.
Una spiritualità che aiuti a vivere connessi profondamente in questa società della performance e della funzionalità.
Viviamo realtà molto competitive, dove sembra che dobbiamo sempre raggiungere obiettivi e dare performance: altrimenti siamo unitili, scarti. Questo incide sulla nostra salute personale, familiare, sociale. Spesso siamo stanchi senza neanche saperne il motivo: viviamo la pressione di queste richieste di prestazioni e portiamo il peso del mondo sulle spalle. E carichiamo l’aspettativa della prestazione anche sulle persone a noi vicine (familiari, colleghi di lavoro, amici): mettendo sulle loro spalle un peso e un’aspettativa che non sempre sono in grado di compiere.
Viviamo in una società centrata sull’utilità funzionale: se un processo tecnicamente funziona, non mi domando se eticamente avrà delle conseguenze non salutari sulla casa comune.
L’ecologia integrale è un invito perché nulla nella vita ci risulti estraneo, straniero, indifferente. Siamo dentro un Tutto, che siamo noi.
L’ecologia integrale ci ricorda che l’essere umano non è il centro dell’Universo: il Covid19 ci ha ricordato che siamo un’umanità molto fragile e vulnerabile.
Queste due categorie, se vissute pienamente, non ci rendono deboli, ma più consapevoli di chi siamo e di quanto abbiamo bisogno della relazione con l’altro. Questo altro che irrompe nella nostra vita, come fonte di ferita o come colui/colei che mi sana, mi guarisce, mi fa gioire.
La vulnerabilità mi invita a:
· essere autentica, vera, umile (nel senso di radicata nell’humus, la terra)
· riconoscere il senso del limite che mi aiuta a fare spazio all’altro (inteso come persona, ma anche come una diverso modo di intendere la vita, la cultura)
· acquisire il senso di reciprocità: la reciprocità è una danza di cui spesso non conosciamo i passi ma è categoria di relazione necessaria per vivere bene insieme. Mi lascio raggiungere dall’altro, lascio che l’altro mi porga la mano per rialzarmi; mi apro a sostenere e ad avvicinarmi all’altro per quanto me lo permette
Papa Francesco, con questa lettera, ha ricucito la frattura tra teologia e scienza, tra fede e scienze. Non è una lettera solo bella da leggere e poetica, ma è un testo del Magistero della Chiesa, che ha una base scientifica perché ha ascoltato tanti e tante che nell’ultimo secolo hanno fatto scoperte sull’universo, sulla formazione della materia e dell’energia, sulla fisica quantistica che ci portano a dover fare un cambio di paradigma sulla nostra idea dell’Universo.
A me l’ecologia integrale mi spinge a pensare che come esseri umani possiamo partire dal logos (siamo a un livello di coscienza molto elevato, homo sapiens sapiens; ma non basta), caratteristica dell’umano, della parola che crea; passando per il pathos, la passione come dolore del parte e energia di vita che consente di far nascere sempre cose nuove; per arrivare ad allargare lo spazio dell’agape, come luogo sacro inclusivo del tutto e di tutte e tutti.
Questo luogo sacro già esiste, noi non sempre ne siamo consapevoli e non lo custodiamo. Pensiamo di dover creare qualcosa di nuovo, invece dobbiamo solo prendercene cura e far germogliare l’agape, come momento profondo e sacro di fratellanza e sorellanza.
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