Qualche mese fa ho deciso di associarmi all’Associazione Donne per la Chiesa: avevo seguito un po’ il loro percorso, le loro idee e il loro approccio e mi sembrava che rispondesse a quell’inquietudine che sentivo dentro come donna laica nella Chiesa cattolica, e anche come donna impegnata professionalmente a servizio delle Religiose in un contesto internazionale.
Come spiegare questa inquietudine che ancora mi abita dentro: cognitivamente e esistenzialmente?
Sono cresciuta in una famiglia affatto attenta ai temi di fede, ma gli incontri mi hanno portato a militare per tanti anni in un movimento cattolico che, oggi, definirei piuttosto tradizionale nella sua visione.
È difficile per me dimenticare il senso di soffocamento che mi prendeva quando ponevo domande e mi venivano date risposte molto preconfezionate; un po’, forse, quelle che si danno ancora oggi nel catechismo.
Sentivo una profonda insoddisfazione e sete di dialogo, di dibattito aperto, dove nessun tema fosse considerato inopportuno, o già deciso. Ho sempre fatto fatica anche ad accettare alcuni dogmi.
Un altro aspetto dell’inquietudine nasce dal fatto che respiravo e sentivo una disuguaglianza considerata ‘naturale’ della donna: non solo nel tema del sacerdozio, ma anche nelle dinamiche parrocchiali e di presa delle decisioni. È come se dovessi stare sempre un po’ al mio posto, pur sentendo che potevo contribuire alla decisione o al progetto stesso.
Sono cresciuta con una narrazione di una differenza di genere, non come una ricchezza, ma come una naturale differenza di opportunità dovuta al semplice fatto di essere donna. Visione che, ovviamente, era in contraddizione con ciò che sentivo e di cui facevo esperienza. Sentivo in me e vedevo in altre ragazze una sorta di leadership femminile che incideva sui processi sociali e di gruppo.
Nel corso della mia vita e dopo aver lasciato il movimento, ho avuto la grazia di incontrare persone mosse e abitate da una fede molto più libera, consapevole, profonda, aperta alla discussione e al confronto; affatto preoccupata di darmi delle ricette da seguire ma attenta all’ascolto di una sete di spiritualità profonda che mi portavo dentro.
Sempre questi incontri per nulla casuali mi hanno portato a fare delle donne anche una scelta professionale, in particolare al servizio della vita religiosa femminile mondiale.
Purtroppo l’idea che certe strade ci sono precluse solo per il fatto di essere donne è ancora molto radicata; ed è forte nella Chiesa cattolica così come nella società.
Io credo che uomini e donne siamo diversi, biologicamente come culturalmente: è una diversità insita nella nostra natura umana. Ciò che non credo e farò del tutto per cambiare questa narrazione è che c’è un destino scritto nella mia biologia: per essere donna non posso accedere a delle posizioni o a delle professioni perché non sono naturalmente predisposta.
Come non credo che per essere biologicamente donna io sia anche, conseguentemente, madre.
Nascere donna non è una scelta, essere madre nasce da una scelta consapevole di ogni donna. Almeno così dovrebbe essere.
Premesso questo, oggi sento che è opportuno per me, unirmi ad altre donne e uomini che condividono questa sensibilità e provare a diffondere una diversa narrazione di genere. Dal linguaggio che usiamo, agli stereotipi di cui siamo vittime (inconsapevoli o consapevoli?) donne e uomini.
Spesso le peggior nemiche dell'emancipazione delle donne sono proprio altre donne.
È necessario cambiare la cultura dei generi nella Chiesa e nella società.
La mia intelligenza si rifiuta di accettare che un gruppo di maschi le dica che ci sono argomenti 'chiusi, di cui non si può neanche discutere'. Questa è un'offesa agli studi che ho faticosamente compiuto per alimentare la mia curiosità e imparare a dare ragione delle mie posizioni.
Credo che l’associazione Donne per la Chiesa possa aiutarmi a fare questo, almeno in parte.
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