Parliamo di viscere di misericordia. Donne e uomini siamo dotati di un grembo simbolico che sentiamo vibrare, saltare, muovere a contatto con emozioni forti, piacevoli o sgradevoli. Il dolore per l’ingiustizia e per la sofferenza di altri essere umani ci smuove le viscere, anche quando diventiamo insensibili. È nelle viscere che abita la misericordia, la compassione, l’empatia che proviamo davanti al dolore dell’altro e dell’altra. Quando le viscere non si smuovono più è perché “quando è troppo è troppo”: ci si può assuefare alle continue immagini di dolore che ci arrivano, in tempo reale, da un’informazione piena di dati e immagini che ci sovrastano.
“Questo Congresso sarà un momento importante del “Processo Salamanca”,
riunendo esponenti delle Istituzioni intellettuali domenicane insieme a
sorelle, fratelli e laici domenicani, che sono in prima fila nella promozione e
nella difesa dei diritti umani. Ci auguriamo che questo contribuisca a una più
profonda integrazione tra vita intellettuale e apostolica nella Famiglia
domenicana, attraverso progetti concreti di collaborazione.”
Fra Mike Deeb, OP
Delegato permanente
dell’Ordine alle Nazioni Unite
e Promotore
Internazionale di Giustizia e Pace
Parlare di Diritti Umani oggi sembra usare una lingua antica
o fuori moda. Sono altre le parole che abitano la nostra società globale e,
l’Italia e l’Europa, non fanno eccezione. Sembra prevalere un linguaggio
declinato a partire dalla violenza, dall’aggressione, dalla divisione, dalla
morte: sia nell’ambito di un’economia predatoria ed escludente, sia nell’ambito
socio-politico di relazioni tra comunità locali e tra popoli.
Come ci poniamo noi,
sognatori e sognatrici di un mondo dove “giustizia e pace si baceranno”,
davanti a questa figura violenta che prevale nel mondo? Siamo in grado di
cogliere i sussurri di un bene che continua ad abitare gli interstizi della
vita? O, pur inconsapevolmente, cadiamo in questo chiacchiericcio rumoroso e
deprimente, nichilistico, dove “tanto non serve a nulla”, “niente mai
cambierà”?
Noi, domenicane e domenicani, amici e amiche di San
Domenico, ci sentiamo eredi di una sensibilità viscerale e una compassione
profonda che Domenico, come altri fratelli e sorelle, ci hanno lasciato. Io la
sento come una responsabilità bella, non come un peso da portare, ma come una
risposta consapevole da dare, per non tacere, per non voltarmi dall’altra
parte.
“I Vangeli sono molto
parchi nell’espressione delle emozioni di Gesù. Per questo colpisce il fatto
che nei sinottici gli assegnino per ben sette volte l’espressione ‘commuovere
le viscere di Gesù’. Questa espressione è legata a situazioni nelle quali Egli
interviene per curare, sanare, alleviare il dolore. (…) Non è il frutto di una
riflessione ma di un cuore misericordioso.” [1]
Parliamo di viscere di misericordia. Donne e uomini siamo
dotati di un grembo simbolico che sentiamo vibrare, saltare, muovere a contatto
con emozioni forti, piacevoli o sgradevoli. Il dolore per l’ingiustizia e per la sofferenza di altri essere umani
ci smuove le viscere, anche quando diventiamo insensibili. È nelle viscere
che abita la misericordia, la compassione, l’empatia che proviamo davanti al
dolore dell’altro e dell’altra. Quando le viscere non si smuovono più è perché
“quando è troppo è troppo”: ci si può assuefare alle continue immagini di
dolore che ci arrivano, in tempo reale, da un’informazione piena di dati e
immagini che ci sovrastano.
“Esiste un’affinità tra
‘fare il male’ e ‘non opporsi al male’. Ciò che collega questi due aspetti,
secondo il vocabolario di Stanley Cohen, è la loro disperata negazione della
colpa. La negazione rende il perpetrare il male e l’astenersi dal reagire a
esso psicologicamente e sociologicamente possibili. La negazione è, per
entrambi, uno strumento fondamentale e una condizione indispensabile. La
negazione è la risposta a interrogativi angoscianti ‘Cosa ne facciamo della
nostra conoscenza del dolore degli altri e che cosa opera in noi questa
conoscenza?’ (…) tutti gli argomenti rivelano l’uno o l’altro dei seguenti
modelli: ‘non sapevo’ oppure ‘non ho potuto fare nulla’. (…) L’informazione
sulle sofferenze degli altri, trasmesse in una forma vivida e facilmente
leggibile, è disponibile all’istante quasi ovunque… questo ha due conseguenze
che pongono dilemmi etici d’inaudita gravità. In primo luogo, essere spettatori
non è più la condizione eccezionale di poche persone. Ora siamo tutti spettatori:
testimoni dell’afflizione, del dolore e della sofferenza che ciò causa. In
secondo luogo, abbiamo tutti bisogno di discolparci e di giustificarci.”[2]
Tutti sappiamo quante violazioni dei diritti umani ci sono
nel mondo, ma questo, spesso, provoca in noi come una saturazione da
informazione e ci anestetizziamo. Non sempre conoscere corrisponde ad agire
contro le ingiustizie. Non possiamo cambiare il mondo da soli. È lo stesso
Bauman ad affermarlo, autore del concetto di modernità liquida: la società
liquida porta insita in sé anche la potenzialità di essere modificata; la
liquidità non forgia una realtà immutabile, lo dice la parola stessa. Quindi è
possibile agire perché la corrente fluisca in modo diverso.
La famiglia domenicana ha una storia veramente importante nell’impegno
a favore dei diritti umani, lo sento ripetere spessissimo: nomi più conosciuti
e altri meno di domenicane e domenicani che hanno detto la loro parola, anche
se pericolosa, perché la dignità non fosse calpestata.[3] Vogliamo limitarci a celebrare con fasto un
passato di onore o partecipare ad arricchire questa storia? Quanto queste
radici sapienti ci danno la forza per stare oggi in prima linea per la difesa
della dignità e dei diritti umani? Ho l’impressione, a partire dalla mia vita
personale, che quando abbiamo la pancia piena, siamo un po’ “borghesi” nella
nostra empatia verso il dolore altrui. Ma gli eventi degli ultimi anni, ci
dimostrano che nessuno è al sicuro da cambi finanziari repentini o da
catastrofi che cambiano la vita improvvisamente. Se c’è una lezione che
possiamo trarre da questa lunga crisi è che la ricchezza materiale e la
posizione sociale che da essa deriva, è fragilissima.
Celebrando il Giubileo domenicano, desideriamo onorare ciò
che la famiglia domenicana fa oggi per i Diritti Umani, e pensare insieme
qualche pista per il futuro, le cui parole chiave sono certamente:
collaborazione, lavoro di rete (networking), studio attento della complessità e
azione strategica (Strategic planning).
È quello che si farà durante il Congresso Internazionale
“Domenicani/e nella Promozione e Difesa dei Diritti Umani: ieri, oggi, domani” (Salamanca,
Spagna 1-5 settembre 2016). Si legge nella lettera di convocazione del
Congresso: “Questo congresso è un momento
centrale delle Celebrazioni del Giubileo dell’Ordine, come
sottolineato da Fra Bruno nella sua lettera di invito a partecipare al
giubileo.
Il Congresso si svolgerà a Salamanca,
nello storico Convento di Sant’Esteban Promomartire. È lì che è nata la Scuola
di Salamanca per mano di diversi fratelli come Francisco de Vitoria, Antonio
de Montesinos e le loro comunità,
Bartolomeo de las Casas, tutti impegnati a favore dei diritti umani delle
popolazioni indigene dell’America Latina del XVI secolo. La Scuola di Salamanca mostra come gli obiettivi intellettuali dei
Domenicani fossero determinati dai bisogni della predicazione del loro tempo. Questa
connessione forte tra studio e missione, che spesso si perde, è al cuore del
carisma domenicano. È per questo motivo che i recenti Capitoli Generali
dell’Ordine hanno invitato a una sinergia
rinnovata tra vita intellettuale domenicana e vita apostolica.
In riconoscimento dell’esempio che i
frati di Salamanca e delle Americhe hanno dato all’Ordine nel XVI secolo, i
Capitoli hanno dato il nome di “Processo
Salamanca”, a questa intenzione di rinnovamento della nostra predicazione
che unisca vita intellettuale e missione.
Questo Congresso sarà un momento
importante del “Processo Salamanca”, riunendo esponenti delle Istituzioni
intellettuali domenicane insieme a sorelle, fratelli e laici domenicani, che
stanno in prima fila nella promozione e nella difesa dei diritti umani. Ci
auguriamo che questo contribuisca a una più profonda integrazione tra vita
intellettuale e apostolica nella Famiglia domenicana, attraverso progetti
concreti di collaborazione.”
La nostra
commissione ripete come un mantra, sin dalla sua nascita, che occuparsi di
diritti umani non è altro che vivere il Vangelo in modo integrale e integrato. Non c’è contraddizione tra promotori di
Giustizia e Pace e i Predicatori/Predicatrici: si predica portando la
speranza che, nonostante tutta la violenza e l’ingiustizia, la dignità è
l’essere creati a immagina e somiglianza di Dio.
Il tema che abbiamo scelto per quest’anno è proprio
l’impegno della Famiglia domenicana per i Diritti umani oggi, nel presente. Per
essere operatori ed operatrici di giustizia e pace è necessario pensare e agire strategicamente. Penso
al lavoro che l’Ordine svolge presso le Nazioni Unite, attraverso la
delegazione permanente nel Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra “Domenicani per Giustizia e Pace”.[4]
Un prezioso lavoro di lobbying e advocacy istituzionale a
favore dei diritti umani, come “estensione
di ciò che molti fratelli e sorelle fanno nelle diverse parti del mondo a
protezione dei diritti umani e delle persone vulnerabili.” Le azioni di lobbying
e advocacy sono le pressioni che le Organizzazioni Non Governative esercitano
sugli stati perché rispettino i diritti umani. Questa pressione si svolge
attraverso “statements” (dichiarazioni) e “reports” (rapporti) che, con l’ausilio di dati e informazioni ricavati da
chi sta dalla base, presentano situazioni concrete di violazioni, verso le
quali si richiede un intervento. La delegazione dell’Ordine alle Nazioni Unite
ha proprio questo compito: raccogliere i dati e le informazioni dal territorio
e costruire un caso che possa trovare il consenso di altre realtà e fare
pressione sugli Stati. La presenza non si limita a Ginevra, ma è garantita
anche in altre sedi delle NU, come New York, dove c’è una presenza stabile che
segue, oltre all’Assemblea annuale, diversi gruppi di lavoro su temi quali:
libertà religiosa e migrazioni.
Siamo consapevoli dei limiti di un’organizzazione come le
Nazioni Unite: ma, non poche situazioni di grave violazione, sono state risolte
grazie alla pressione e all’attenzione internazionale nelle sedi ONU; le
relazioni tra gli Stati sono sovente il frutto di delicate negoziazioni, dove
si perde qualcosa e si guadagna altro: non è raro che i diritti umani diventino
parte di questo scambio, nel bene e nel male.
Un altro esempio di impegno odierno per i diritti umani è la
Rete Internazionale della Suore Domenicane
contro la Tratta di persone, considerata una forma di schiavitù moderna. La
tratta riguarda lo sfruttamento sessuale, il lavoro forzato, il commercio di
organi: i profitti generati dalle diverse forme di tratta ammonta a 150
miliardi di dollari (ILO, 2014). Si legge nella loro brochure: “Dalla nostra identità di donne
predicatrici, emerge un’opzione preferenziale per le donne e le ragazze
vulnerabili e per le vittime della Tratta. Attraverso la missione vogliamo
promuovere un ordine mondiale più misericordioso e incoraggiare la difesa dei
diritti umani.” Sono diverse le suore domenicane che, nei diversi paesi,
lavorano contro la tratta: dalla prevenzione all’assistenza delle donne trattate,
dalla protezione al reinserimento delle sopravvissute. Questo lavoro viene
portato avanti in rete con altre realtà ecclesiali e della vita consacrata.[5]
Papa Francesco più volte è intervenuto incoraggiando
l’azione contro il Traffico di persone, al punto da dichiarare l’8 febbraio la Giornata Mondiale di preghiera contro la
tratta.
Oggi si parla molto di Diritti
di nuova generazione, emersi da una realtà che cambia e che pone nuove
sfide alla giurisdizione: pensiamo alla privacy, alla gestione dei dati
personali, alle nuove ricerche nel transumano e i beni comuni.
La riflessione su questi nuovi diritti cammina
parallelamente all’impegno per eradicare le violazioni di sempre legate alla
libertà, alla piena espressione della propria umanità e al godimento dei beni
essenziali. Insieme a tutto questo non va sottovalutato l’impegno culturale per
agire in modo preventivo e nutrire le parti migliori dell’umanità, quelle che
favoriscono il dialogo, l’incontro, il rispetto e l’amore.
Una categoria sociologica che oggi ci può aiutare ad abitare
la liquidità in modo creativo è quella della generatività. Essere
persone generative è contribuire perché la vita emerga, è nutrire i semi di
vita e di bene, ovunque siano. Generatività è agire per rispondere a quella
profonda nostalgia di benessere, di “paradiso”, di amore che ci abita dentro. I
quattro verbi del generare sono: desiderare,
partorire-mettere al mondo, prendersi cura, lasciare andare.[6] Hanno
qualcosa da dirci questi quattro movimenti alla nostra vita? Secondo me, sì.
[3] Vedere i due volumi in
inglese “Preaching Justice”, pubblicati da Dominican Publications e curati
dalla Prof.ssa Helen Alford, OP e il Prof. Francesco Compagnoni, OP della Pontificia
Università San Tommaso d’Aquino a Roma. Il primo volume, uscito nel 2007, è
dedicato ai domenicani che nel XX secolo si sono impegnati a favore della
giustizia e la pace. Il secondo volume, uscito quest’anno, illustra l’azione
delle donne domenicane nella difesa dei diritti umani nel XX secolo.
[5] Rete mondiale della Vita consacrata contro la Tratta
di persone, Talitha Kum: www.talithakum.info/
[6] Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, “Generativi di
tutto il mondo unitevi”, Feltrinelli
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