domenica 18 settembre 2016

Viscere di compassione e misericordia: l’impegno per i diritti umani, oggi

Parliamo di viscere di misericordia. Donne e uomini siamo dotati di un grembo simbolico che sentiamo vibrare, saltare, muovere a contatto con emozioni forti, piacevoli o sgradevoli. Il dolore per l’ingiustizia e per la sofferenza di altri essere umani ci smuove le viscere, anche quando diventiamo insensibili. È nelle viscere che abita la misericordia, la compassione, l’empatia che proviamo davanti al dolore dell’altro e dell’altra. Quando le viscere non si smuovono più è perché “quando è troppo è troppo”: ci si può assuefare alle continue immagini di dolore che ci arrivano, in tempo reale, da un’informazione piena di dati e immagini che ci sovrastano.

“Questo Congresso sarà un momento importante del “Processo Salamanca”, riunendo esponenti delle Istituzioni intellettuali domenicane insieme a sorelle, fratelli e laici domenicani, che sono in prima fila nella promozione e nella difesa dei diritti umani. Ci auguriamo che questo contribuisca a una più profonda integrazione tra vita intellettuale e apostolica nella Famiglia domenicana, attraverso progetti concreti di collaborazione.”
Fra Mike Deeb, OP
Delegato permanente dell’Ordine alle Nazioni Unite
e Promotore Internazionale di Giustizia e Pace


Parlare di Diritti Umani oggi sembra usare una lingua antica o fuori moda. Sono altre le parole che abitano la nostra società globale e, l’Italia e l’Europa, non fanno eccezione. Sembra prevalere un linguaggio declinato a partire dalla violenza, dall’aggressione, dalla divisione, dalla morte: sia nell’ambito di un’economia predatoria ed escludente, sia nell’ambito socio-politico di relazioni tra comunità locali e tra popoli.
Come ci poniamo noi, sognatori e sognatrici di un mondo dove “giustizia e pace si baceranno”, davanti a questa figura violenta che prevale nel mondo? Siamo in grado di cogliere i sussurri di un bene che continua ad abitare gli interstizi della vita? O, pur inconsapevolmente, cadiamo in questo chiacchiericcio rumoroso e deprimente, nichilistico, dove “tanto non serve a nulla”, “niente mai cambierà”?

Noi, domenicane e domenicani, amici e amiche di San Domenico, ci sentiamo eredi di una sensibilità viscerale e una compassione profonda che Domenico, come altri fratelli e sorelle, ci hanno lasciato. Io la sento come una responsabilità bella, non come un peso da portare, ma come una risposta consapevole da dare, per non tacere, per non voltarmi dall’altra parte.

“I Vangeli sono molto parchi nell’espressione delle emozioni di Gesù. Per questo colpisce il fatto che nei sinottici gli assegnino per ben sette volte l’espressione ‘commuovere le viscere di Gesù’. Questa espressione è legata a situazioni nelle quali Egli interviene per curare, sanare, alleviare il dolore. (…) Non è il frutto di una riflessione ma di un cuore misericordioso.” [1]

Parliamo di viscere di misericordia. Donne e uomini siamo dotati di un grembo simbolico che sentiamo vibrare, saltare, muovere a contatto con emozioni forti, piacevoli o sgradevoli. Il dolore per l’ingiustizia e per la sofferenza di altri essere umani ci smuove le viscere, anche quando diventiamo insensibili. È nelle viscere che abita la misericordia, la compassione, l’empatia che proviamo davanti al dolore dell’altro e dell’altra. Quando le viscere non si smuovono più è perché “quando è troppo è troppo”: ci si può assuefare alle continue immagini di dolore che ci arrivano, in tempo reale, da un’informazione piena di dati e immagini che ci sovrastano.
“Esiste un’affinità tra ‘fare il male’ e ‘non opporsi al male’. Ciò che collega questi due aspetti, secondo il vocabolario di Stanley Cohen, è la loro disperata negazione della colpa. La negazione rende il perpetrare il male e l’astenersi dal reagire a esso psicologicamente e sociologicamente possibili. La negazione è, per entrambi, uno strumento fondamentale e una condizione indispensabile. La negazione è la risposta a interrogativi angoscianti ‘Cosa ne facciamo della nostra conoscenza del dolore degli altri e che cosa opera in noi questa conoscenza?’ (…) tutti gli argomenti rivelano l’uno o l’altro dei seguenti modelli: ‘non sapevo’ oppure ‘non ho potuto fare nulla’. (…) L’informazione sulle sofferenze degli altri, trasmesse in una forma vivida e facilmente leggibile, è disponibile all’istante quasi ovunque… questo ha due conseguenze che pongono dilemmi etici d’inaudita gravità. In primo luogo, essere spettatori non è più la condizione eccezionale di poche persone. Ora siamo tutti spettatori: testimoni dell’afflizione, del dolore e della sofferenza che ciò causa. In secondo luogo, abbiamo tutti bisogno di discolparci e di giustificarci.”[2]
Tutti sappiamo quante violazioni dei diritti umani ci sono nel mondo, ma questo, spesso, provoca in noi come una saturazione da informazione e ci anestetizziamo. Non sempre conoscere corrisponde ad agire contro le ingiustizie. Non possiamo cambiare il mondo da soli. È lo stesso Bauman ad affermarlo, autore del concetto di modernità liquida: la società liquida porta insita in sé anche la potenzialità di essere modificata; la liquidità non forgia una realtà immutabile, lo dice la parola stessa. Quindi è possibile agire perché la corrente fluisca in modo diverso.

La famiglia domenicana ha una storia veramente importante nell’impegno a favore dei diritti umani, lo sento ripetere spessissimo: nomi più conosciuti e altri meno di domenicane e domenicani che hanno detto la loro parola, anche se pericolosa, perché la dignità non fosse calpestata.[3] Vogliamo limitarci a celebrare con fasto un passato di onore o partecipare ad arricchire questa storia? Quanto queste radici sapienti ci danno la forza per stare oggi in prima linea per la difesa della dignità e dei diritti umani? Ho l’impressione, a partire dalla mia vita personale, che quando abbiamo la pancia piena, siamo un po’ “borghesi” nella nostra empatia verso il dolore altrui. Ma gli eventi degli ultimi anni, ci dimostrano che nessuno è al sicuro da cambi finanziari repentini o da catastrofi che cambiano la vita improvvisamente. Se c’è una lezione che possiamo trarre da questa lunga crisi è che la ricchezza materiale e la posizione sociale che da essa deriva, è fragilissima.

Celebrando il Giubileo domenicano, desideriamo onorare ciò che la famiglia domenicana fa oggi per i Diritti Umani, e pensare insieme qualche pista per il futuro, le cui parole chiave sono certamente: collaborazione, lavoro di rete (networking), studio attento della complessità e azione strategica (Strategic planning).

È quello che si farà durante il Congresso Internazionale “Domenicani/e nella Promozione e Difesa dei Diritti Umani: ieri, oggi, domani” (Salamanca, Spagna 1-5 settembre 2016). Si legge nella lettera di convocazione del Congresso: “Questo congresso è un momento centrale delle Celebrazioni del Giubileo dell’Ordine, come sottolineato da Fra Bruno nella sua lettera di invito a partecipare al giubileo.
Il Congresso si svolgerà a Salamanca, nello storico Convento di Sant’Esteban Promomartire. È lì che è nata la Scuola di Salamanca per mano di diversi fratelli come Francisco de Vitoria, Antonio de  Montesinos e le loro comunità, Bartolomeo de las Casas, tutti impegnati a favore dei diritti umani delle popolazioni indigene dell’America Latina del XVI secolo. La Scuola di Salamanca mostra come gli obiettivi intellettuali dei Domenicani fossero determinati dai bisogni della predicazione del loro tempo. Questa connessione forte tra studio e missione, che spesso si perde, è al cuore del carisma domenicano. È per questo motivo che i recenti Capitoli Generali dell’Ordine hanno invitato a una sinergia rinnovata tra vita intellettuale domenicana e vita apostolica.
In riconoscimento dell’esempio che i frati di Salamanca e delle Americhe hanno dato all’Ordine nel XVI secolo, i Capitoli hanno dato il nome di “Processo Salamanca”, a questa intenzione di rinnovamento della nostra predicazione che unisca vita intellettuale e missione.
Questo Congresso sarà un momento importante del “Processo Salamanca”, riunendo esponenti delle Istituzioni intellettuali domenicane insieme a sorelle, fratelli e laici domenicani, che stanno in prima fila nella promozione e nella difesa dei diritti umani. Ci auguriamo che questo contribuisca a una più profonda integrazione tra vita intellettuale e apostolica nella Famiglia domenicana, attraverso progetti concreti di collaborazione.”
La nostra commissione ripete come un mantra, sin dalla sua nascita, che occuparsi di diritti umani non è altro che vivere il Vangelo in modo integrale e integrato. Non c’è contraddizione tra promotori di Giustizia e Pace e i Predicatori/Predicatrici: si predica portando la speranza che, nonostante tutta la violenza e l’ingiustizia, la dignità è l’essere creati a immagina e somiglianza di Dio.
Il tema che abbiamo scelto per quest’anno è proprio l’impegno della Famiglia domenicana per i Diritti umani oggi, nel presente. Per essere operatori ed operatrici di giustizia e pace è necessario pensare e agire strategicamente. Penso al lavoro che l’Ordine svolge presso le Nazioni Unite, attraverso la delegazione permanente nel Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra “Domenicani per Giustizia e Pace”.[4] Un prezioso lavoro di lobbying e advocacy istituzionale a favore dei diritti umani, come “estensione di ciò che molti fratelli e sorelle fanno nelle diverse parti del mondo a protezione dei diritti umani e delle persone vulnerabili.” Le azioni di lobbying e advocacy sono le pressioni che le Organizzazioni Non Governative esercitano sugli stati perché rispettino i diritti umani. Questa pressione si svolge attraverso “statements” (dichiarazioni) e “reports” (rapporti) che, con l’ausilio di dati e informazioni ricavati da chi sta dalla base, presentano situazioni concrete di violazioni, verso le quali si richiede un intervento. La delegazione dell’Ordine alle Nazioni Unite ha proprio questo compito: raccogliere i dati e le informazioni dal territorio e costruire un caso che possa trovare il consenso di altre realtà e fare pressione sugli Stati. La presenza non si limita a Ginevra, ma è garantita anche in altre sedi delle NU, come New York, dove c’è una presenza stabile che segue, oltre all’Assemblea annuale, diversi gruppi di lavoro su temi quali: libertà religiosa e migrazioni.
Siamo consapevoli dei limiti di un’organizzazione come le Nazioni Unite: ma, non poche situazioni di grave violazione, sono state risolte grazie alla pressione e all’attenzione internazionale nelle sedi ONU; le relazioni tra gli Stati sono sovente il frutto di delicate negoziazioni, dove si perde qualcosa e si guadagna altro: non è raro che i diritti umani diventino parte di questo scambio, nel bene e nel male.

Un altro esempio di impegno odierno per i diritti umani è la Rete Internazionale della Suore Domenicane contro la Tratta di persone, considerata una forma di schiavitù moderna. La tratta riguarda lo sfruttamento sessuale, il lavoro forzato, il commercio di organi: i profitti generati dalle diverse forme di tratta ammonta a 150 miliardi di dollari (ILO, 2014). Si legge nella loro brochure: “Dalla nostra identità di donne predicatrici, emerge un’opzione preferenziale per le donne e le ragazze vulnerabili e per le vittime della Tratta. Attraverso la missione vogliamo promuovere un ordine mondiale più misericordioso e incoraggiare la difesa dei diritti umani.” Sono diverse le suore domenicane che, nei diversi paesi, lavorano contro la tratta: dalla prevenzione all’assistenza delle donne trattate, dalla protezione al reinserimento delle sopravvissute. Questo lavoro viene portato avanti in rete con altre realtà ecclesiali e della vita consacrata.[5]
Papa Francesco più volte è intervenuto incoraggiando l’azione contro il Traffico di persone, al punto da dichiarare l’8 febbraio la Giornata Mondiale di preghiera contro la tratta.

Oggi si parla molto di Diritti di nuova generazione, emersi da una realtà che cambia e che pone nuove sfide alla giurisdizione: pensiamo alla privacy, alla gestione dei dati personali, alle nuove ricerche nel transumano e i beni comuni.
La riflessione su questi nuovi diritti cammina parallelamente all’impegno per eradicare le violazioni di sempre legate alla libertà, alla piena espressione della propria umanità e al godimento dei beni essenziali. Insieme a tutto questo non va sottovalutato l’impegno culturale per agire in modo preventivo e nutrire le parti migliori dell’umanità, quelle che favoriscono il dialogo, l’incontro, il rispetto e l’amore.

Una categoria sociologica che oggi ci può aiutare ad abitare la liquidità in modo creativo è quella della generatività. Essere persone generative è contribuire perché la vita emerga, è nutrire i semi di vita e di bene, ovunque siano. Generatività è agire per rispondere a quella profonda nostalgia di benessere, di “paradiso”, di amore che ci abita dentro. I quattro verbi del generare sono: desiderare, partorire-mettere al mondo, prendersi cura, lasciare andare.[6] Hanno qualcosa da dirci questi quattro movimenti alla nostra vita? Secondo me, sì.







[1] Emma Martínez Ocaña, “Te llevo en mis entrañas dibujada”, ed. Narcea, pag. 165
[2] Zygmunt Bauman, “Il secolo degli spettatori”, ed. EDB Lampi
[3] Vedere i due volumi in inglese “Preaching Justice”, pubblicati da Dominican Publications e curati dalla Prof.ssa Helen Alford, OP e il Prof. Francesco Compagnoni, OP della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino a Roma. Il primo volume, uscito nel 2007, è dedicato ai domenicani che nel XX secolo si sono impegnati a favore della giustizia e la pace. Il secondo volume, uscito quest’anno, illustra l’azione delle donne domenicane nella difesa dei diritti umani nel XX secolo.

[4] Dominicans for Justice and Peace: http://un.op.org/en
[5] Rete mondiale della Vita consacrata contro la Tratta di persone, Talitha Kum: www.talithakum.info/
[6] Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, “Generativi di tutto il mondo unitevi”, Feltrinelli

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