sabato 24 ottobre 2020

Coltivare l’antrifragilità: dall’andrà tutto bene all’andrà tutto nuovo

 

La scienza ci dice che i disastri sono aumentati negli ultimi 40 anni. E continueranno a farlo nei prossimi. Forse dobbiamo imparare nuove competenze di vita per sopravvivere  in questi nuovi contesti. Come quello che stiamo vivendo ora.

Il Covid sta diventando una crisi cronica che ha cambiato la nostra vita. Abbiamo investito tante risorse all’inizio per dirci ‘andrà tutto bene’. Altre per sostenere i lutti subiti personalmente, e il clima di lutto che ha caratterizzato la prima fase di questa pandemia. Viviamo ancora un contesto di lutto sociale: non solo per morti fisiche; ma anche per il dover lasciare andare abitudini e comportamenti che, fino a pochi mesi fa, consideravamo ‘la nostra normalità’.


E ora? Siamo sicure di essere in grado di gestire le emozioni di questa seconda o terza fase? 

Tante esperienze ci dicono che la spiritualità può essere un grande aiuto, se gestita insieme a una serie di strumenti psicologici e sociali che ci sostengono.


Il rischio che sento possibile in questa seconda fase è di vivere cercando di non ammalarci. Ma non basta. È necessario ascoltarci profondamente, personalmente e comunitariamente, come questa situazione ci sta cambiando, cosa ci fa scoprire di noi, cosa sentiamo e come lo esprimiamo? Quale nuova vita sta emergendo? Quali nuovi stili possono emergere?

E’ un lavoro che va fatto dentro di noi e poi, in cerchi concentrici, nei diversi ambiti: famiglia, comunità, lavoro, amici, territorio, nazione…


Vedo che, rispetto al virus e alle misure politiche di contenimento, oscilliamo tra due poli: la paura che blocca e isola, e un’indifferenza complottista che mette a rischio se stessi e gli altri.


Forse esistono altre vie, che possiamo vedere solo se iniziamo un processo di ascolto di noi e di distanziamento emotivo da ciò che stiamo vivendo. Un distanziamento emotivo che non si traduce in un ignorare ciò che accade al nostro mondo affettivo e simbolico, ma un passo indietro per ascoltare ciò che ci dicono di noi le nostre emozioni, e prendere da loro la forza per un approccio generativo alla situazione globale.


Abbiamo bisogno di cura emotiva e spirituale in questo tempo. Come fare? Vedo diversi cammini possibili che si sintetizzano nel fare un lavoro personale, anche da soli, e poi, se necessario farsi aiutare da persone che possono aiutarci a percepire la realtà emotiva e sociale con altri occhi. 


Cos’è lo Spiritual First Aid?

“E' il supporto psicosociale di natura Spirituale che possiamo offrire ad individui e comunità durante le prime fasi del disastro o immediatamente dopo nella prospettiva di prevenire quello che viene definito trauma post traumatico e creare le condizioni per un cambiamento consolidato.”


Ho avuto la fortuna, durante il confinamento, di seguire un breve corso introduttivo su questo tema organizzato dalla Pontificia Università Antonianum.


Mi ha colpito molto la riflessione tra tre movimenti:

  • Adattamento: è la prima reazione a un cambiamento. Si cerca di inserire l’intruso nella nostra normalità senza farci disturbare troppo e non essere costretti a lasciare la nostra zona di confort. Adeguarsi all’emergenza.
  • Resilienza: sappiamo che questa parola deriva dalla capacità dei metalli di piegarsi ma senza spezzarsi. Indica la reazione di contrapporre la propria volontà al cambiamento che non abbiamo scelto; in qualche modo seguirne il corso senza, però, farsi spezzare. Rimane una risposta valida ma tendenzialmente passiva.


È il terzo movimento che ha catturato tutta la mia attenzione: l’anti-fragilità


  • Anti-fragilità: è la risposta a un tempo complesso, dove si richiede più un approccio qualitativo che quantitativo. 

“adottare l’ottica della antifragilità impone un cambio di paradigma, una visione alternativa, la capacità e volontà di leggere il mondo da una prospettiva nuova e diversa: il cambiamento non è solo quello esterno ma soprattutto quello interno/interiore, ovvero il nuovo sguardo sulla realtà ed il ruolo delle comunità come attori del cambiamento. Non si tratta di diventare ‘super’ ma rendere fertile la fragilità che accomuna le diverse comunità e gruppi sociali, a partire dai livelli inferiori, perché è l’insieme di queste fragilità a fare la differenza e risolvere le contraddizioni poste dall’emergenza e dalle crisi.” (Roberto Mauri)

Raccontarsi a partire dalla fragilità per rendere noi e i sistemi nei quali viviamo antifragili. Non vuol dire negare la fragilità, ma partire da essa. È la capacità di spezzarci e di rimanere vivi e più solidali davanti al dolore dell’altro, che è un dolore anche nostro. Antifragile è chi non solo non si spezza davanti al dolore ma cambia a partire da esso. 

L’antifragilità si applica anche alle organizazzioni (come le congregazioni religiose): quanto un sistema è antifragile per dare risposte nuove a domande nuove? Il rischio è di integrare l’evento nuovo al già conosciuto, spiegarlo con categorie non adatte o ignorarlo. E se invece lo prendessimo come un’opportunità per avviare processi generativi a partire proprio dall’evento inatteso?


Dove ci sentiamo di stare noi in questo momento? Cosa mi aiuterebbe a passare dalla resilienza all’antifragilità?


È una domanda opportuna per fare di questo tempo un Kairos per un mondo nuovo.



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