“Allora
comincio a scrivere, solo per comunicare e trovare altre persone che facciano
lo stesso e scrivendo o no, intravedano ciò che vogliono dalla loro vita, dalal
realtà in generale; sappiano descrivere davvero ciò che amano di più e ciò che,
pur non amandolo, lo considerano, rispettano e se ne prendono cura.”
(Antonietta
Potente, op Umano più umano, Le Piagge)
Siamo figlie e figli di un Dio creativo e innamorato
dell'umanità, un esperto di comunicazione, diremmo oggi. L’incarnazione è
l’esempio più alto di comunicazione, come desiderio di relazione, di incontro,
di prossimità. Il Vangelo, una scuola di Comunicazione 2.0: frasi spot,
parabole e simbologie, immagini evocative, silenzi e l’impiego attento del
corpo, la cura dei dettagli.
Per noi cristiani, quindi, usare le nuove tecnologie della
comunicazione e dell’informazione, dovrebbe essere naturale, parte integrante
della nostra evangelizzazione. Entrare in sintonia con la comunicazione di
Gesù, ci consente di imparare ad abitare il silenzio, come luogo sacro di
comunicazione profonda. Fare del silenzio abitato e consapevole il criterio
ermeneutico dell’evangelizzazione 2.0; ecco il nostro specifico: bucare il
rumore con il silenzio che è ascolto attento.
Sono già diversi anni che lavoro nell’ambito della
Comunicazione in Istituti religiosi e non ho mai separato il mio sentirmi
abitata dal mistero dal mio lavoro di “comunicatrice”. Quando ciò che sentiamo
dentro è troppo bello trabocca, esce, quasi esplode e non possiamo non
comunicarlo. Le Buone notizie sono dirompenti, incontenibili, fanno pressione
dentro di noi per uscire e trovare canali per essere condivise, sparse,
annunciate, vissute, dette. Prendere la parola è un atto meravigliosamente
umano: oggi il digitale ci consente spazi di partecipazione inauditi. Per la
mia esperienza, abitarli è una necessità. È interessante notare come i grandi
mistici non potevano fare a meno di scrivere dell’esperienza che facevano di
Dio: scrivere perché se ne sentivano inondati, ma anche perché altri ne godessero.
Penso a Teresa di Gesù, della cui spiritualità mi nutro nella Congregazione
dove lavoro, la Compagnia di Santa
Teresa di Gesù, che ha scritto tantissimo perché ciò che sentiva era
incontenibile.
Comunicare nei vari social network con testi, immagini,
video, infografiche, musica vuol dire accogliere l’invito a essere persone in
relazione, votate all’incontro, incuriosite e affascinate dall'altro/a.
La comunicazione è efficace non quando è perfetta sul piano
tecnico, ma quando è capace di toccare il cuore delle persone, di svegliarle
dall’apatia, di muoverle all’amore e alla compassione. La comunicazione che
evangelizza è ricca di anima, di spessore. Non si tratta di inondare il digitale
di immagini sacre, ma curare ciò che condividiamo e pubblichiamo perché dica
del bello che abbiamo sperimentato e che vogliamo narrare. Comunichiamo per
risvegliare il desiderio del mistero nei cuori delle persone.
L’icona che, a mio avviso, sintetizza bene l’obiettivo e il
metodo del nostro comunicare evangelizzando è la visita di Maria a Elisabetta.
L’incontro, l’abbraccio, il saluto smuovono le viscere mie e dell’altra; creano
un movimento che interroga, trasforma, orienta al bene e al bello. Mi sono
sempre domandata se esistesse uno specifico femminile nella comunicazione social.
Forse, questa capacità femminile di smuovere energie profonde (viscere), può
essere quello specifico non esclusivo.
Per saper comunicare bene, oggi nel mondo della complessità,
serve una formazione adeguata e professionale e una sensibilità profonda nel
saper essere autentici, perchè il nostro comunicare odori sempre di verità,
umiltà e compassione.
Patrizia Morgante
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