Qualche giorno fa un’amica mi ha detto “Sento di non avere un posto mio nel mondo, come se non occupassi uno
spazio che sia mio. Mi sento sempre nomade”. Ovviamente lo diceva con le
lacrime agli occhi, perché le procurava sofferenza. E posso comprenderlo.
Questa cosa ha risuonato tantissimo dentro di me per due
motivi.
La prima ragione è che mi ha stimolato a pensare che oggi
siamo tutti un po’ nomadi esistenziali: in una società liquida e
ipertecnologica come la nostra dobbiamo imparare a vivere solidi nel continuo e
veloce movimento e cambiamento. Dobbiamo educarci a essere canne al vento, come ci diceva Grazia Deledda: seguono il vento,
sono flessibili ma non si lasciano spezzare. Se le canne non accompagnassero il
vento si romperebbero. Quando ci illudiamo di aver capito tutto e avere il
controllo della realtà, è il momento in cui essa ci sfugge più di tutto. Per
abitare questa società globale con sapienza e stare bene dobbiamo educarci a
una flessibilità e capacità di adattamento consapevole e profonda: altrimenti
la velocità e la superficialità ci mangeranno e non sapremo più chi siamo. Il
rischio è perdere l’anima, nel senso di perdere il contatto con la nostra parte
profonda.
Mi domando cosa possiamo imparare dalla canne al vento per vivere
con sapienza questo tempo?
Il secondo motivo è l’eco che ho sentito pensando a quando
mi sono sentita nello stesso modo della mia amica: io da giovane in questa Chiesa cattolica. Mi
sono sempre sentita nomade, ho sempre percepito che sentivo e pensavo cose che
non corrispondevano con le storie che mi raccontavano al catechismo. Le sentivo
narrazioni ripetute a memoria che non capivo, che non sentivo reali e che non
mi davano un senso per la mia vita.
Spesso continuo a sentirmi così: come se in questa chiesa
piena di regole e certezze non ci fosse spazio per un’anima inquieta, che si
interroga e che non riesce più ad accettare intellettualmente alcuni racconti
che dicono venire da Dio, non riesco più ad accettare silente che mi si dica
che certi temi non si possono discutere perché sono così e basta. C’è un
linguaggio e delle ritualità che non dicono più nulla a donne come me.
Io dove mi colloco? Dove trovo spazio in questa Chiesa che
vende regole, norme e certezze senza spazio per il dubbio e il mistero?
Se apro il Vangelo trovo altro. Trovo poesia, trovo anima,
trovo intuizioni, trovo vita fragile e inquieta, trovo difficoltà umane, e
trovo il Mistero. Perché la vita è mistero. Dio è mistero.
Allora penso: magari anche altri si sentono come me e per
questo si definiscono cattolici liberi, non frequentanti, quelli del “Dio è una
cosa ma i preti no”. Forse anche altre e altri sentono questa inquietudine che
non trova spazio in questa Chiesa?
Chi ci accompagnerà in questo cammino?
2019 #gentilezza #docilità #assertivita
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